L’anidride solforosa (diossido di zolfo), per le sue proprietà antimicrobiche e antiossidanti, viene usata come antisettico durante la fermentazione e per conservare il vino.
L’anidride solforosa, nella vinificazione, limita lo sviluppo di batteri e lieviti dannosi a favore di quelli più sani, favorisce l’estrazione delle sostanze coloranti, l’illimpidimento dei mosti e li protegge dalle ossidazioni.
Durante l’affinamento, contribuisce alla conservazione delle caratteristiche organolettiche del vino, poiché impedisce la formazione di microrganismi nocivi come i batteri acetici.
L’abuso di solfiti può causare mal di testa e disturbi intestinali.
La normativa prevede limiti precisi all’uso di SO2:
- vini rossi: max 160 mg/l
- vini bianchi e rosati: max 210 mg/l
- per residuo zuccherino NON superiore ai 5 grammi/litro;
- per residuo zuccherino superiore ai 5 grammi/litro: max 210 mg/l
- per residuo zuccherino ancora più alto ai 5 grammi/litro: max 260 mg/l.
Quando l’uva è sana, si può “spostare” l’uso di anidride solforosa dalla fermentazione alla svinatura o all’imbottigliamento: ciò consente di diminuire la percentuale di anidride solforosa combinata nel vino, a vantaggio di quella libera.
Il contenuto di solforosa è più alto nei vini bianchi, più delicati, e soprattutto in certi passiti, nei quali l’SO2 è impiegata per evitare rifermentazioni (si tratta di vini con alte percentuali di zuccheri residui) e per proteggere il colore (certi Sauternes arrivano a contenerne fino a 400 milligrammi per litro). Il suo profumo è però inconfondibile e il degustatore potrà imparare a riconoscerlo.
L’ha ribloggato su Whyne.